Vai al contenuto

Che cosa fare: una prima risposta alle vostre domande

In questa sezione abbiamo raccolto le domande più frequenti, per offrirvi un primo aiuto nell’affrontare l’anoressia e i disturbi del comportamento alimentare. Abbiamo selezionato le notizie e i consigli riportati in alcune pubblicazioni destinate a informare e sostenere chi si trova ad affrontare da vicino da vicino queste problematiche: pazienti, genitori, insegnanti.

PRIMO CHIUSO
Come e dove cercare aiuto?

Il trattamento di scelta dei disturbi del comportamento alimentare è psicologico (1), la psicoterapia è la terapia dei disturbi del comportamento alimentare per eccellenza (2).
Una storia familiare e le interazioni fra i vari membri sono, oltre che una risorsa per la paziente, un dato da conoscere e far fruttare in un lavoro terapeutico: c’è sempre una ragione familiare da tenere presente in una situazione così particolare. La famiglia è un luogo di risorse di cui la stessa terapia si avvale per essere efficace. Terapie psicologiche, psichiatriche, familiari e farmacologiche non si escludono ma si integrano e si rafforzano (3).

 

(1) Massimo Cuzzolaro, Anoressia e bulimie, Il Mulino 2004.
(2) Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Come affrontare anoressia e bulimia, Il Mosaico 1998.
(3) Franca Do, I disturbi alimentari, San Paolo 2002.

Che cosa significa anoressia?

L’anoressia e la bulimia nervosa sono due patologie caratterizzate da una grave alterazione della condotta alimentare.
L’anoressia colpisce per lo più ragazze adolescenti che vivono il proprio corpo come un oggetto da “modificare” per raggiungere un modello idealizzato di magrezza e perfezione. le ragazze possono iniziare con una dieta ragionevole per poi irrigidire più o meno gradualmete la restrizione alimentare fino a raggiungere una pericolosa magrezza con perdita del ciclo mestruale e riduzione della massa muscolare. Nei casi più estremi possono condurre la loro lotta contro il corpo “grasso” fino alla morte.
Nonostate il termine medico “Anoressia” indichi “assenza di appetito”, le pazienti non sono prive di fame, ma il segnale corporeo di bisogno di alimenti viene vissuto come pericoloso e combattuto con forza. Se la paziente cede ad esso, si disprezza. La fame latente tuttavia può spingere ad assunzioni disordinate di cibo che vengono chiamate “crisi bulimiche”.
Le pazienti possono considerare “crisi bulimiche” anche assunzioni di cibo molto modeste (es. due mele) se al di fuori del rigido modello di digiuno autoimposto. L’introito di calorie non controllate viene combattuto con condotte di eliminazione (vomito autoindotto) e per attività motoria.
Il corpo viene percepito come “grasso” anche quando è molto sottopeso.

 

Come affrontare anoressia e bulimia, Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Il Mosaico 1998.

Che cosa significa bulimia?

La bulimia nervosa è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dalla presenza di abbuffate (assunzione di cibo fatto impulsivamente al di là del bisogno di alimentarsi).
le abbuffate vengono vissute con grande angoscia che induce comportamenti di eliminazione (vomito, purganti, etc.). Si Instaura così un circolo vizioso: dieta – abbuffate – eliminazione – dieta che disturba i pensieri e l’organizzazione esistenziale del soggetto che consuma in questa tormentosa oscillazione molto tempo della giornata a scapito di altre attività.
L’abbuffata può essere indotta da una dieta troppo rigida, da vissuti di ansia, noia, depressione o rabbia, e terminare nel malessere fisico, nel disprezzo di sè e della propria debolezza e nel dar vita al disperato tentativo di eliminare o consumare quanto ingerito.
Tutto questo accade spesso in solitudine, di nascosto da parenti e amici, con sentimenti di colpa e biasimo. Questo fa si che il soggetto resti prigioniero dei sintomi anche molto a lungo, minacciando la propria salute senza il sostegno dei suoi cari.

 

Franca Do, I disturbi alimentari, San Paolo 2002.

Che cosa significa disturbo dell'alimentazione incontrollata (binge eating disorder)?

In italiano lo possiamo tradurre con abbuffata compulsiva. La parola abbuffata è esplicita ed esprime con chiarezza il fatto che la persona non vive l’esperienza di nutrirsi, di alimentarsi fino a stare bene ma piuttosto quella di ingozzarsi, rimpinzarsi fino a stare male.

 

Massimo Cuzzolaro, Anoressia e bulimie, Il Mulino 2004.

Chi viene colpito da anoressia?

Il 90% delle persone colpite appartiene al sesso femminile. L’età d’esordio del disturbo è compresa tra i 12 e i 25 anni, con due picchi di maggiore frequenza a 14 e 18 anni.

Chi sviluppa un disturbo dell'alimentazione incontrollata (binge eating disorder)?

Il sintomo binge eating disorder attraversa trasversalmente l’intera area dei disturbi del comportamento alimentare e tutto lo spettro dei pesi corporei. Scheletrici soggetti anoressici ben al di sotto dei quaranta chili di peso e grandi obesi che superano i duecento chili possono descrivere lo stesso tipo di bramosia conflittuale e incontenibile per il cibo.

 

Massimo Cuzzolaro, Anoressia e bulimie, Il Mulino 2004.

Quali sono i sintomi dell'anoressia?
  • Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo per l’età e la statura (riduzione del peso corporeo che porta a mantenere il peso al di sotto dell’85% rispettto a quanto previsto).
  • Intensa paura di acquistare peso (anche quando si è sottopeso).
  • Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima o rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso.
  • Amenorrea (assenza di almeno tre cicli mestruale consecutivi).

Classificazione tratta dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’Associazione Psichiatrica Americana, DSM IV.

Quali sono i sintomi della bulimia?
  • Ricorrenti abbuffate caratterizzate da entrambi i seguenti elementi: mangiare in un definito periodo di tempo una quantità significativamente maggiore di cibo di quella che mangerebbe la maggior parte della gente; sensazione di perdere il controllo durante l’episodio.
  • Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso corporeo: vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, digiuno o esercizio fisico eccessivo.
  • Abbuffate e condotte compensatorie per tre mesi.
  • Livelli di autostima indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporeo.

Classificazione tratta dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’Associazione Psichiatrica Americana, DSM IV.

Anoressia. Quali possono essere i pensieri sul cibo?

“Non posso mangiare. Non devo. Guardo il cibo, lo compro, cucino cose meravigliore che io non tocco. La cosa più importante è il cibo, queste cose io le cucino per gli altri”. “Mi tormento, sono capace di resistere. Resistere al cibo è la mia soddisfazione”. “Se faccio così gli altri MI RICONOSCERANNO”.

 

Franca Do, I disturbi alimentari, San Paolo 2002.

Bulimia. Quali possono essere i pensieri sul cibo?

“Io non devo mangiare. Ma ho fame. Provo ad assaggiare poco poco. Ma che importa, posso mangiare, è buono: il mio corpo è diventato una bocca, mangio tutto riempiendomi lo stomaco fino a scoppiare. Il cibo è buono, quanto è buono, quel cibo è buono, troppo buono. Poi, posso vomitare. Questo mi fa star bene, cancella l’orrore di aver ceduto. Non ci penso più: ora sto bene, ho vomitato l’orrore e la vergogna di aver mangiato”.

 

Franca Do, I disturbi alimentari, San Paolo 2002.

Disturbo dell'alimentazione incontrollata. Quali possono essere i pensieri sul cibo?

Iperfagia, quella bestia: caduta nelle sue grinfie non mi raccapezzo più. Mi fa mangiare. Io non mangio: lei mi fa mangiare. Mangio e poi divoro e per consolarmi ritorno a mangiare. Per evitare di guardarmi – quel corpo non è più il mio, non sono più io – continiuo ad ingurgitare. Mangio a qualunque ora e per un tempo che non so: non riesco più a fermarmi, né so cosa sto mangiando, né quanto ho mangiato. Mi scoppia lo stomaco, sto male ma continuo. Il dolore fisico ne scaccia uno ben più grande: quello di farmi schifo, soprattutto dopo aver mangiato.

 

Franca Do, I disturbi alimentari, San Paolo 2002.

Quali sono i sintomi del disturbo dell'alimentazione incontrollata?
  • Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un episodio di abbuffata compulsiva è definito dai due seguenti caratteri: mangiare in un definito periodo di tempo una quantità di cibo significativamente maggiore di quella in cui mangerebbe la maggior parte della gente; sensazione di perdere il controllo durante l’episodio.
  • Le abbuffate compulsive sono associate a tre o più dei seguenti caratteri: mangiare più rapidamente del normale; mangiare fino ad avere una sensazione penosa di troppo pieno; mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fame; provare disgusto di sé, depressione o intensa colpa dopo aver mangiato troppo.
  • Le abbuffate suscitano sofferenza e disagio.
  • Le abbuffate compulsive non sono associate all’uso regolare di comportamenti impropri di compenso (vomito autoindotto, lassativi, clisteri, diuretici, digiuno, esercizi fisici ossessivi) e non capitano soltanto nel corso di anoressia nervosa o di bulimia nervosa.

Classificazione tratta dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’Associazione Psichiatrica Americana, DSM IV.

Quali sono i segnali d'allarme all'esordio di un disturbo del comportamento alimentare?

Il confine tra quella che può essere considerata un’innocua mania e l’inizio di una insorgente malattia non è sempre facile da stabilire. I primi due indizi che possono mettere sulla strada del sospetto sono la drasticità del cambiamento del regime dietetico e la repentinità con cui questo viene messo in atto. Così come possono destare sospetti le ripetute visite alla toilette dopo pranzo. In questo contesto, il nuovo interesse per la cucina può diventare un altro dettaglio. L’anoressica si caratterizza inoltre per un’estrema iperattività e un eccessivo esercizio fisico, in particolare nelle prime fasi della malattia.

Che cosa è importante osservare?
E’ importante, all’inizio osservare e annotare tutto ciò che si ritiene preoccupante.
– Che cosa mangia e che cosa non mangia affatto?
– Sembra che abbia cambiato carattere: è più depressa, passa dall’euforia alla malinconia più volte nella stessa giornata?
– Il momento del pasto è sempre una lotta?
– Ha trascorso un’intera mattinata a cucinare e se sta a guardare mentre gli altri mangiano ma lei non tocca nulla ? Si offende se non vengono apprezzate le sue ricette?
– Non vede più amici, non cerca nessuno, rifiuta di uscire se qualcuno la invita?
– Si mostra preoccupata della linea e da continuamente discorsi riguardanti le proprie forme nonostante sia magra? (1)

 

(1) Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Come affrontare anoressia e bulimia, Il Mosaico 1998.

Quali possono essere i fattori precipitanti che attivano un disturbo del comportamento alimentare?

Stress, cambiamenti, forti emozioni, difficoltà scolastiche e lavorative, lutti non elaborati, problemi e tensioni familiari, forti traumi compresi gli abusi sessuali. Da sottolineare tra i cambiamenti, soprattutto nella femmina, la pubertà.
Le modificazione corporee sono più brusche, e a volte traumatizzanti, nella femmina che non nel maschio, e spesso colgono la ragazza ancora bambina a dover affrontare qualcosa per cui, data l’età e le scarse informazioni ricevute, è impreparata.

 

Franca Do, I disturbi alimentari, San Paolo 2002.

Come comportarsi se si teme la presenza di un disturbo del comportamento alimentare?

Parlate, non abbiate timore di raccontare al vostro medico i vostri dubbi, i vostri timori: meglio fare qualcosa di più che trascurare qualcosa e lasciar fare al caso. Parlate ai fratelli di vostro/a figlio/a in difficoltà, andate dagli insegnanti, dal preside. Entrate in libreria e comprate un libro per genitori, insegnanti sui disturbi alimentari: ve ne sono di molto chiari con indicazioni precise. Avete un problema, dovete cercare di risolverlo e non fare da soli: da soli non è possibile. E’ sempre una grande sofferenza che può diventare una malattia. E’ importante ricordarlo.

 

Franca Do, I disturbi alimentari, San Paolo 2002.

Che cosa chiedere a una figlia o a un figlio in difficoltà?

Esprimete i vostri dubbi e le vostre preoccupazioni trasmettendole non la colpa – che siete turbati a causa sua – bensì l’accoramento che il suo stato vi procura. Sarà per lei un segnale molto importante che le state tendendo una mano. Non aspettatevi che le cose cambino da un giorno all’altro solo perché ne avete parlato, né chiedetele di farlo: finireste con lo spegnere il contatto che siete riusciti a creare, vanificando ogni cosa.

 

Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Come affrontare anoressia e bulimia, Il Mosaico 1998.

Che cosa dire a una figlia o un figlio in difficoltà?

Valutate l’opportunità di proporre subito o in un altro momento di avere un colloquio con qualcuno che possa aiutare lei o voi per risolvere il problema, che non è solo suo (ditele esplicitamente che la cosa vi riguarda!). Se poi siete nella difficoltà più grande perché la ragazza o il ragazzo non vogliono farsi curare, parlate con lei/lui chiaramente: anche qui fermezza e decisione. Anche l’opposizione alle cure è un provare per assurdo a vedere fin dove ci si può spingere. Se lei/lui non vuole aiuto non per questo dovete negarlo a voi stessi: cercate sostegno altrove e mettetela/o al corrente della vostra situazione; a volte può rivelarsi efficace, se non altro le/gli dimostrate che state facendo sul serio.

 

Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Come affrontare anoressia e bulimia, Il Mosaico 1998.

Quali regole stabilire?

Siate fermi e decisi: non si digiuna, non si obbliga tutta la famiglia a pasti impossibili o orari disumani (1). Non cucinare cibi diversi. Non cambiare le abitudini. Non lasciare che invada la cucina. Se per seguire la sua dieta è arrivata alla soluzione che è meglio prepararsi il pranzo da sé, consentiteglielo; ma non permettetele di imporvi i suoi gusti, o la sua dieta (2).

 

(1) Franca Do, I disturbi alimentari, San Paolo 2002.
(2) Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Come affrontare anoressia e bulimia, Il Mosaico 1998.

Come comportarsi a tavola?

Evitate che la conversazione a tavola si riduca a parlare di cibo. Per lei, è come essere considerata un corpo che deve essere riempito; è come dire che tutto ciò che volete da lei è che mangi (ma se mangia, pensa, nessuno si interesserà più a lei); significa dare al cibo la stessa importanza che lei gli dà. Piuttosto, cercate di trovare argomenti diversi per instaurate un dialogo e distoglierla (e distogliervi) dal problema alimentare.
Che mangi o meno, fate in modo che resti a tavola fino a quando tutti hanno finito di pranzare. Mettela sul piano della compagnia e accettate la sua scelta di non toccare cibo. Il pranzo e la cena sono i momenti più drammatici, in cui l’anisa sale a livelli insostenibili: discutere animatamente o amorevolmente con lei o con gli altri sul suo problema-cibo proprio a tavola, nel luogo e nel tempo più ansiogeni in assoluto, è come spingerla in fondo all’abisso.

 

Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Come affrontare anoressia e bulimia, Il Mosaico 1998.

Controllare oppure no?

Non assumete il controllo del suo peso, di quanto mangia o della ricorrenza delle sue abbuffate.
Non violate la sua privacy.

 

Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Come affrontare anoressia e bulimia, Il Mosaico 1998.

Vegetariani: una scelta diversa, non un disturbo alimentare

Chi è vegetariano non sopprime la fame bevendo, mangia regolarmente; perché il suo scopo è nutrirsi in un modo che ritiene giusto dal punto di vista della salvaguardia della vita di altri esseri, senza per questo distruggere la propria.
Il vegetariano non si sottopone a estenuanti esercizi fisici, non salta i pasti, non vomita, non si purga, di conseguenza non diventa emaciato né ansioso davanti al cibo.

 

Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Come affrontare anoressia e bulimia, Il Mosaico 1998.

Siete preoccupati per un'amica o un amico?

Un amico può essere, proprio per la natura della relazione, in una posizione privilegiata per fornire al soggetto un contatto col mondo esterno, facendolo così uscire dall’isolamento. Può avere un maggiore ascendente su di lui perché valuti la possibilità di farsi aiutare e rivolgersi a un centro o a un medico.

 

Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Come affrontare anoressia e bulimia, Il Mosaico 1998.

E se ad ammalarsi è la partner o il partner?

L’approccio a discutere dei problemi del coniuge può passare attraverso canali più variegati e meno impositivi: manifestare la propria sincera preoccupazione per la sua sofferenza e il desiderio di aiutarla risulta spesso un segnale di amore, di un’attenzione che con tutta probabilità era venuta a mancare nel corso del tempo. Anche qui è importante non cadere nella tentazione di fare i terapeuti, e prima ancora di assumere un atteggiamento da genitore.

 

Alessandra Callegari e Donatella Scaparra, Come affrontare anoressia e bulimia, Il Mosaico 1998.

Quando serve cercare aiuto?

L’approccio psicoterapeutico è sempre fondamentale nelle pazienti anoressiche. Cogliere i primi sintomi ed intervenire precocemente è molto importante. E’ impossibile non scivolare nella rabbia, nella disperazione e poi nella depressione se la persona che si ama sta attentando alla propria vita negandosi ciò che è uno dei fondamenti della vita stessa; e come questi ha bisogno d’aiuto e di uno specifico sostegno, così i genitori (o il partner) hanno bisogno di trovare sostegno al di fuori di parenti e amici.
Il disturbo alimentare è una cosa seria: si può guarire. Ma può cronicizzare o si può morire. Non è un fantasma che può paralizzarvi di paura: è una realtà che si può affrontare. Come per molte patologie, così per l’anoressia e la bulimia vale il principio che a un riconoscimento precoce del disturbo corrispinde una più alta probabilità di guarigione.